L'isolotto
della Torre Talao, dominato dall'omonima torre aragonese ed
oggi completamente
inglobato nella terra ferma, è caratterizzato dalla presenza di cavità
naturali che hanno offerto riparo a gruppi di cacciatori e pescatori del
Paleolitico Medio. Forse queste grotte costituiscono il più
importante complesso musteriano della Calabria
(contemporaneo all'uomo di Neanderthal
caratterizzato da strumenti di pietra
differenziati nell'uso e più perfezionati). Sicuramente è quello che ha
segnato l'inizio delle ricerche sul Paleolitico Calabrese. Il complesso
ha anche avuto la sorte di essere, ad oltre un secolo dalla scoperta,
pressoché sconosciuto. Quindi i risultati di un lungo interessamento si
sono tradotti nella distruzione di parte dei depositi e nella mancanza
di informazioni utilizzabili sulle industrie che così rimangono
sostanzialmente inedite. Alle prime notizie sulla grotta, datate fine
'800 per merito di Lovisato e Lacava, seguì un saggio di Patroni che
individuò il carattere musteriano della grotta. Le ricerche furono
proseguite dal proprietario della grotta, Del Giudice, su consiglio di
Aldobrandino Mochi che nel 1914
vi intraprese il primo ed unico scavo
condotto con metodi scientifici nel quale si evidenziò il problema
dell'associazione di una industria musteriana dai caratteri evoluti con
una fauna di tipo caldo. Nel 1932-33 vengono ripresi gli scavi da Topa.
La conseguente pubblicazione segna un notevole passo indietro non solo
nei confronti del lavoro svolto dal Mochi ma anche da quello svolto dal
Patroni. Infatti vi fu un completo fraintendimento delle industrie e la
loro attribuzione al Paleolitico Superiore contro ogni evidenza
paleontologica e stratigrafica. La mancanza di metodo nel condurre gli
scavi, la descrizione del tutto inadeguata degli strumenti, l'illeggibilità
dei disegni, molti dei quali dedicati a semplici schegge ossee scambiate
per manufatti, fanno sì che i soli dati utili ricavabili dal lavoro del
Topa siano gli elenchi delle faune, determinate in gran parte da
Cardini, i quali confermano ed arricchiscono il quadro già noto dalle
ricerche precedenti. Con il sopralluogo condotto nel 1957 da Blanc e
Cardini si accertò la presenza di una ancora ampia porzione di deposito
archeologico spesso circa 10 m. sovrapposto ad un lembo di spiaggia. In
tale occasione venne preannunciato un programma di ricerche e scavi
sistematici nella grotta che però non è mai stato attuato. Quindi,
sulle caratteristiche dell'industria ci sono solo indicazioni generiche.
Si tratterrebbe di manufatti di dimensioni ridotte tratti da diaspri e
selci con una forte
frequenza di raschiatoi che presentano un ritocco a
scaglie di tipo semplice. In base a questi tratti e alla tecnica di
scheggiatura, che è per lo più di tipo non levallois, l'industria di
Scalea parrebbe definibile come un musteriano di tipo La Quina. Per
quanto concerne la fauna, abbiamo molte più informazioni anche se
mancano indizi sulla provenienza stratigrafica dei singoli reperti e
sulle frequenze delle singole specie. Vi compaiono: elefante,
rinoceronte, ippopotamo, bue primogenio, bisonte, cavallo, orso,
cinghiale, cervo , daino, capriolo, leone e iena delle caverne,
confermando il tipo di fauna calda o almeno di ambiente temperato che è
stato tradizionalmente attribuito a questo complesso. Tutti i reperti
ritrovati sono attualmente conservati nel musei archeologici di Reggio
Calabria e di Lamezia Terme |